Tuko Pamoja

tutti insieme

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Disegni, fotografie e testimonianze di bambine e bambini di Nairobi, Kenia - Africa
In collaborazione con  p. Daniele Moschetti, Gino Filippini - Korogocho - Francesco Lorenzetti - Siena
18 novembre 2006 – 11 marzo 2007
Inaugurazione: 18 novembre ore 17

Il progetto TUKO PAMOJA nasce come una sinfonia da una straordinaria collaborazione a più mani. Un  rezzatese doc come Gino Filippini che da molti anni opera in Africa, un padre comboniano Daniele Moschetti, due entusiaste amiche della PinAC, Patrizia Lavaselli e Franca  Sartini, insegnanti bergamasche  che hanno incontrato l’estate scorsa i  bambini di strada di Korogocho e li hanno invitati a disegnare,  Francesco Lorenzetti, sensibile fotografo senese che ha condotto uno straordinario laboratorio fotografico con un gruppo di ragazzi e ragazze di Korogocho, di cui riportiamo in questa mostra una piccola antologia, Monica Gaspari, insegnante volontaria per quattro anni a Nairobi e ora operativa a Rovereto, che ha offerto  preziose testimonianze materiali e alcune foto di suoi ragazzi di  strada.    

Il lavoro comune e la sintonia di obiettivi hanno prodotto TUKO  PAMOJA parole swahili che significano tutti insieme. Venticinque disegni, venticinque fotografie, alcune testimonianze  verbali:  una  mostra a misura di PInAC  per provare ad  organizzare i segni espressivi di linguaggi diversi e  complementari  di una trentina di bambini e adolescenti tra i  6 e i 16 anni, a cui tutti insieme vogliamo dare un opportunità di protagonismo e visibilità, un rinforzo al loro desiderio di  esprimersi. 

Quella che vediamo è  la Korogocho  rappresentata dai bambine e  dalle bambine di Korogocho, sono gli schizzi grafici e gli scatti  fotografici di ragazzi e ragazze che dallo slum raccontano lo  slum, autori e soggetti della loro storia, delle loro emozioni. 

I contenuti maggiormente rappresentati con matite e pennarelli rimandano alla quotidianità vissuta: il mercato, il fiume, le danze collettive, agli animali amati o temuti, ai giochi infantili. gli agguati e le violenze. Nel selezionare le opere, scelte fra i molti lavori prodotti con Patrizia e Franca,  ci siamo resi immediatamente conto di come il segno grafico e la mancanza di tecnica fatichino a restituire l’intensità delle emozioni e dei pensieri dei giovani autori. E’ facile riconoscere le mani inesperte  e i segni incerti di chi non è avvezzo ad avere carta e colori a disposizione. Ma fortissima è la voglia di dire, di raccontare. Così,  quando il colore esplode improvviso e potente o  il tratto suggerisce dinamicità e movimento,  allora  l’elefante barrisce davvero e il marabù spadroneggia maligno, i  tamburi suonano e i corpi si  muovono a ritmo. 

E se  la povertà grafica qualche volta mortifica l’espressività dei  ragazzi più grandi,  è il linguaggio fotografico che maggiormente restituisce profondità al loro sguardo, interiorità ai loro racconti di vita. Con sorprendente intensità le foto disvelano personaggi e ambienti, oggetti e  attività: fieri sguardi in macchina e  delicate inquadrature teneramente cercano  di raccontare il bello e il  vivibile che li circonda: una  gialla coperta lavorata all’uncinetto con grande cura, un gattino, un interno con famiglia che scherza in posa davanti al fotografo in erba. 

Il bianco e nero fotografico, del casuale rullino finito in macchina senza intenzionalità, restituisce una  stilizzazione che diventa  concetto assoluto dell’essere, mentre le foto a colori tessono narrazioni individuali e collettive, testimonianze intime e a volte divertite. 

Sono sguardi assolati che hanno come sfondo  il rosso bruno della terra battuta, il ruggine delle lamiere, il riflesso plumbeo del rigagnolo d’acqua,  il profilo incerto della discarica che  incombe, ma non c’è tragicità: incredibilmente la vita vuole avere la meglio. 

L’allestimento di Maralaura Marazzi dialoga coi colori e  i segni  delle opere, con  la ruvida tela di juta che incornicia i disegni e con  le foto stampate su materiale plastico. I  grandi pannelli trasparenti che incorniciano gli scatti diventano un  album-percorso da sfogliare passo dopo passo,  mentre il paesaggio sonoro  si anima al ritmo dei tamburi e dei canti  tradizionali swahili. 

Elena Pasetti
direttrice PInAC

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